Lo schwa (ǝ) che rende l’inclusione inaccessibile

Da tempo ormai sentiamo utilizzare i termini inclusione e accessibilità come sinonimi, soprattutto nella scuola, e non solo, credo quindi necessario fare alcune riflessioni sul fatto che questi termini possono appartenere ad una medesima area di attenzione al sociale, ma non sono affatto sinonimi. Occasione per questa riflessione che vi propongo è l’articolo de “Il post” che annuncia la decisione di un Comune in provincia di Modena di usare in alcuni contesti il simbolo fonetico (ǝ) detto schwa, come desinenza finale al posto dei plurali maschili universali al fine di usare un linguaggio «più inclusivo». La scelta di questo Comune si è resa manifesta in un post su Facebook del 5 aprile che dice:

A partire da mercoledì #7aprile moltǝ nostrǝ bambinǝ e ragazzǝ potranno tornare in classe!», invece di «molti nostri bambini e ragazzi.

La schwa (ǝ) viene utilizzata da sempre dai linguisti e fa parte dell’alfabeto fonetico internazionale per indicare una vocale intermedia, può indicare sia una vocale debole, sia l’assenza totale di una vocale. Il suono corrispondente è presente in molte lingue, anche in molti dialetti italiani, come il piemontese o la lingua napoletana.

Questa decisone rappresenta sicuramente una visione estremamente inclusiva perché è una manifesta intenzione di riconoscimento e rispetto di tutte le persone che non indentificano il proprio genere come maschile o femminile. In questo modo si tenta di sanare il grave problema, che spesso può sfociare in discriminazione, dell’uso di errori o di linguaggio non adeguato, per indicare le persone con identità non binary che non identificano il proprio genere né come maschile né come femminile.

I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400mila italiani“, come ha spiegato Marina Pierdominici, ricercatrice dell’istituto superiore di sanità, a Repubblica.

Sicuramente l’introduzione di un nuovo suono, che non è in uso nella lingua italiana scritta, rappresenta, oltre che a un grande atto di civiltà, anche una novità e come tutte le novità dovrà misurarsi con le persone che utilizzando la lingua scritta possono incontrarlo e non riuscire a interpretarlo. Mi riferisco a tutti coloro che non hanno letto della decisione del comune di Castelfranco Emilia e che trovandosi a leggere quel post su facebook si saranno trovati impreparati ad interpretare il simbolo sconosciuto. Lo schwa si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente, questo suono identifica una vocale intermedia esattamente a metà strada fra le vocali esistenti, particolarità che lo rende adatto ad indicare un genere non binary è annoverato fra i suoni dall’alfabeto fonetico internazionale. Il segno corrispondente è pressoché sconosciuto in Italia e non c’è un modo per digitarlo facilmente sulle tastiere di computer e smartphone e non c’è certezza di come i lettori di schermo e i lettori di testo possano interpretare questo simbolo. Per esempio, le persone che utilizzano i lettori di schermo, come VoiceOver su Mac oppure Jaws su Windows, non sentono pronunciare alcun suono e quindi hanno un effetto buco e lo stesso accade con il lettore di testo. C’è anche un comportamento più strano, su VoiceOver per iOS (iPhone e iPad), nell’incontrare lo schwa alla fine di una parola gli utenti non sentono pronunciare il suono ad esso associato convenzionalmente / ǝ / ma sentono letteralmente “e-girata”; il Voice Over pronuncierà “e gitata” ogni volta che incontrerà il simbolo schwa in un qualsiasi parola;

Tali comportamenti sono stati evidenziati anche da Giuseppe Fornaro, coordinatore del gruppo software-app INVAT e
Consigliere Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

C’è anche da evidenziare che le soluzioni che fino ad ora abbiamo adottato per risolvere il problema, come sostituire la vocale finale con l’asterisco (per esempio ragazz* al posto di ragazzi), non migliora affatto la problematica e crea comunque problemi di accessibilità.

Lo schwa quindi rappresenta un esempio di come l’inclusione possa non sposarsi con l’accessibilità.

Con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità approvata nel 2007, la parola inclusione diventa il termine che definisce un orizzonte culturale che si declina in diversi ambiti, e riguarda le persone con disabilità, ma investe ogni forma di esclusione che può essere derivata da differenze culturali, etniche, socioeconomiche, di genere, sessuali, ecc. 

Il temine Inclusione consiste nella consapevolezza che esiste il rischio di esclusione e dunque è necessario adoperarsi per mettere in campo azioni atte al coinvolgimento di tutte le persone per la realizzazione di una società in cui tutti possano sentirsi parte di comunità e di contesti relazionali dove poter agire, scegliere, giocare e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità. Per permettere una effettiva partecipazione  e inclusione di tutte le persone, alla vita sociale è necessario rimuovere le barriere che possano impedirlo, in questo entra in gioco l’accessibilità, intesa secondo il “Design for All”, come caratteristica di prodotti, servizi e ambienti che possono essere utilizzati dalla maggior parte di persone possibile, indifferentemente dalla caratteristiche.

Lo schwa da strumento di inclusione per alcuni diventa motivo di esclusione per altri, perché non basta avere buone intenzioni, è necessario che nel realizzarle si tenga conto delle esigenze di tutti, per fare questo viene in soccorso l’accessibilità.

Accessibilità e Inclusione sono quindi strettamente legati ma non possono essere usati come sinonimi perché afferiscono a ordini diversi, l’inclusione è l’orizzonte concettuale, che solo attraverso l’accessibilità si può realizzare. Il caso dello schwa ci fa riflettere sul fatto che seppure sia l’inclusione il riferimento ultimo che determina il livello di civiltà di una società, questa non può realizzarsi se non attraverso l’abbattimento delle barriere e quindi attraverso l’accessibilità. Per poter spiegare la relazione fra questi due concetti potremmo dire: 

L’inclusione è il motivo per cui deve essere possibile a tutti partecipare in modo attivo alla vita sociale, l’accessibilità è il modo in cui è possibile realizzare la piena partecipazione abbattendo le barriere.

Solo quando si riuscirà a conciliare intenzioni e mezzi si potrà raggiungere la vera inclusione. Questo significa, nel caso specifico, che solo quando lo schwa potrà essere scritto con facilità con una qualsiasi tastiera fisica o virtuale di smartphone o di computer e potrà essere letto dalle persone e dalle tecnologie assistive, allora sarà davvero inclusivo.  

Per ottenere questo risultato serve lo sforzo di tutti per riconoscere il problema della leggibilità e apportare le modifiche tecniche necessarie, il fatto che queste modifiche possono essere ritenute importanti e urgenti è una questione di accessibilità di inclusività e soprattutto di civiltà. 

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Lucia Iacopini

Pedagogista Clinico | Esperta di didattica tradizionale e digitale, di inclusione e normativa in ambito scolastico. Docente di Filosofia, Pedagogista Clinico. Esperta di didattica tradizionale e digitale, di inclusione e normativa in ambito scolastico. Presidente del Comitato Tecnico scientifico L.Reg Marche n.32/2013 sui DSA. Ex membro del Consiglio Direttivo Nazionale Associazione Italina Dislessia. Presso l'Università di Macerata Tutor per Specializzazione al sostegno, Tutor Specializzato per il Servizio Disabilità e DSA. Fondatore dell’“Osservatorio DSA”. Coautrice di www.pdpfacile che aiuta i docenti nella stesura del PDP per studenti con DSA o BES. Coordinatore di gruppi di lavoro e Tavoli Tecnici sui temi della didattica inclusiva e dei disturbi dell'apprendimento. Dal 2003 relatore e formatore sui temi della didattica tradizionale e digitale, dell’inclusione e della normativa in ambito scolastico. Responsabile della progettazione e della conduzione di conferenze e di progetti formativi. Consulente ed esperta nella mediazione scuola-famiglia riguardo le problematiche didattiche, le difficoltà nell’apprendimento anche per studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES) e Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA)

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